Ieri mattina la serranda di camera ha deciso di manifestare il suo esaurimento in modo plateale, cedendo, crollando, accasciandosi, e a un tempo incastrandosi, per rimanere al suo posto e insieme non averci più a che fare, con quel lavoraccio, per serrare piuttosto che disserrare, facendo argine alla luce (pallida) del sole di novembre e al panorama desolante, di normale degrado cittadino, sul quale da sette anni mi introduceva, credo suo malgrado, ogni giorno.
Ho sempre invidiato quanti hanno la forza di brandire la propria debolezza, quelli che sanno dirti, come se fosse vero o sufficiente, "io questa cosa non ce la faccio". Come se a qualcuno, in generale, importasse qualcosa se tu non ce la fai. Molti sanno trovare il loro punto di rottura prima - per parafrasare un comico geniale tra i tanti estromessi dalla incivile Rai di oggi - che il loro punto di rottura trovi loro. Oggi la mia serranda ha deciso che di me, di Bologna, del mio vicinato affacciato sui quattro lati di una corte che fa molto Rear Window, della pioggia e del vento ne aveva avuto abbastanza e, come sempre mi accade in simili situazioni, non ho proprio saputo darle torto.
Rimarrà così per un po', questo è sicuro, e non solo perché sono giorni di ponte, in cui tutti sono in vacanza. La verità è che molta parte della mia vita, e delle mie giornate, le ho vissute al chiuso, questo è solo un piccolo gradino ulteriore e temporaneo di reclusione, nulla di cui crucciarsi.
Rest in peace, serranda, non ti porto rancore.
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