mercoledì 19 agosto 2009

Agostino

L'Hotel Flamingo, a Santa Margherita di Pula, anche nella dependance meno costosa dove ci hanno sistemato, che si chiama Hotel Pineta Mare, all'arrivo mi è parso un posto straordinario. Disteso sulla spiaggia, disseminato dentro la macchia mediterranea in tanti piccoli bungalow, percorso da sentierini di sasso e dalle stesse labirintiche siepi di mirto odoroso che dividono la calma piatta della piscina dall'entusiasmo delle onde là fuori.
Quando ci hanno lasciato qui, sotto il portichetto dell'entrata e gli accompagnatori si sono preoccupati di registrarci mentre noi stavamo a guardare intorno in tutte le direzioni e con ogni ampiezza d'angolo di rotazione che un collo umano può permettere, senza davvero chiacchierare d'altro che di stupore e di bellezza perché era tutto un fioccare di oh e di ma dai e di che meraviglia e simili, io un po' me lo sentivo, che sarebbe andata a finire così. Era solo questione di tempo, era da tanto che lo sapevo. Mica mi illudevo.
Diana mi ha portato in camera e mi ha disfatto la valigia, mi ha aiutato ad andare in bagno perché dopo tante ore, l'aereo prima il pullman poi - non gliel'ho detto ma lei lo sa - cominciavo a non farcela più. Glielo leggevo negli occhi che anche lei era contenta, questo posto è perfino più bello di come ce lo avevano magnificato. Quando Diana è contenta ha una luce negli occhi che mi fa sentire leggero. Mi fa sentire come se potessi alzarmi da solo.
La sala da pranzo dell'hotel è un altro tuffo al cuore: altissima, con un soffitto retto da colonne di legno come alberi e coperto da qualcosa che sembra paglia o stuoie, somiglia a una immensa capanna tropicale, a un sogno esotico, tutta aperta sul mare là davanti, sui suoi sorrisi innumerevoli.
Mi ero preso dietro, come al solito, parecchi libri da leggere, perché stare a lungo all'aperto, anche sotto una tenda o un portico, mi stanca e mi innervosisce, la struttura della sedia si scalda, allora preferisco rimanere a letto. Leggere non sempre basta a farmi respirare meglio, ma a volte sì, a volte il senso d'angoscia si allevia un poco. Quasi solo un bel libro ce la fa, a tirarmi via. Poi, certo, Diana mi porta fuori a fare dei giri, nella pineta o intorno alla piscina, mai in spiaggia, lì c'è la sabbia e si affonda, però dico quasi subito rientriamo, cerco di lasciarla libera. Vorrei che fosse una vacanza anche per lei, lontano dalla reclusione di casa. Dopotutto, con lo schienale alzato del letto riesco a vedere fuori dalla finestra, c'è un quadro luminoso di siepi di pineta e di spiaggia, di lontane creste di spuma. E un angolo azzurro della piscina, l'acqua immota, come una lastra.
Ieri mattina - il terzo giorno da che eravamo arrivati - all'hotel c'era d'improvviso tanta gente nuova. Parecchi giovani, tutti vestiti bene, dev'essere una associazione di qualche tipo. Dice Diana che sono convegnisti, arrivati da ogni parte d'Italia.
A pranzo e poi a cena alcuni di loro erano seduti, in gruppetti di tre o quattro, vicino a noi. Divertente gettar l'orecchio alle conversazioni, i tavoli sembravano tutti divisi per regione o per città. Ne ho riconosciuti di sicuro uno romano, uno napoletano e uno milanese, ma secondo me da qualche parte ci saranno pure i bolognesi. Fortuna che non li ho tra i piedi, non volevo venire fino in Sardegna per la prima e ultima volta in vita mia, e sentirmi appiccicato ancora delle loro esse e delle loro ci pastose. I napoletani, guasconi gaudenti e sfacciati come sempre, hanno rivolto la parola a Diana. Ci credo, è bellissima, è bella come una visione, ci si perde a guardarla. A me no, neanche come ti chiami, forse per il consueto imbarazzo dei normali, che non sanno mai cosa dire, quasi fosse colpa loro. In realtà, è stato a pranzo che le hanno rivolto la parola, a cena l'hanno direttamente invitata al loro tavolo. Lei stava per dire di no, ma io le ho fatto segno di andare, e non ha esitato ad accettare. Avevo quasi finito, tanto. Delle fette sottili di prosciutto riesco a mangiarle anche da solo. E se pure le lascio nel piatto, poco male.
Oggi a pranzo, di nuovo. Vedo che le stanno simpatici, la sento ridere con loro, non mi capita spesso di sentirla ridere, a casa, quel suono così argentino. Ha cominciato a gorgogliarmi la solita paura nello stomaco. Che stupido, come se ne avessi diritto.
Dopo pranzo le ho chiesto di riportarmi in camera e di andarsene a fare il bagno. Lei che può... Questo mare, dicono, è irresistibile, ha sempre un po' di onde alte da saltarci dentro, è freddo frizzante che ti senti tutto informicolito quando ne esci, tutto sveglio e vivo dalla testa fin nella punta dei piedi, diventa profondo subito e puoi farti delle belle nuotate, però è così limpido che vedi il fondale anche a dieci metri, ed è pieno di pesci che ti vengono tutto intorno senza paura... Tutto tutto tutto... chissà com'è sentirsi tutto, chissà com'è non sentirsi solo una parte...

Mi sono messo a leggere Agostino. Non l'ho mica fatto apposta, sapevo sì a grandi linee la trama, ma solo a grandi linee.

Dopo cena, Diana si è allontanata per telefonare, poi di ritorno mi ha detto "ti dispiace se vado a fare una passeggiata da sola?". Da sola. Ero stato a letto tutto il pomeriggio. Lei mi ha raccontato, a tavola, di aver fatto mille bagni, di essersi divertita da matti, e per questo era stanca morta; ha pure aggiunto che sarebbe venuta a dormire presto, subito dopo di me, subito dopo avermi preparato per la notte. Invece no, ora non era più stanca. Da sola. Certo che no, certo che non mi dispiace. Perchè dovrebbe. C'è una luna magnifica, un venticello fresco, sono appena le dieci. Certo che non mi dispiace. Da sola.

Fuori ci stava uno ad aspettarla. Ovviamente. Ma che stupido, io che temevo quei napoletani. Invece era uno dei ragazzi dell'albergo, uno degli inservienti della piscina. Alto, abbronzato, atletico, un sorriso che faceva luce nella notte. Lei non si è girata a guardare, forse non ha pensato che dalla finestra potevo vedere. O forse ha tutto il diritto di uscire con un ragazzo come lei, e non le salta neanche in testa di nascondersi. Si sono dati un bacio e si sono presi per mano, una silhouette unica armoniosa stagliata contro il mare inargentato. Andavano in spiaggia. Ci provo sempre, ogni giorno ogni minuto della mia vita, a essere cinico, a vedere il male anche dove sembra tutto perfetto, a guardare il giardino fiorito e scorger le foglie mòrse, le piante avvizzite, gli steli calpestati. Di solito lo so fare. Ma a volte è difficile. Proprio difficile.

Ho terminato - è brevissimo - Agostino, intanto che lei era fuori con lui. L'ultima pagina finisce così:

"Tu mi tratti sempre come un bambino" disse a un tratto Agostino, non sapeva neppure lui perché.
La madre rise e gli accarezzò una guancia "Ebbene, d'ora in poi ti tratterò come un uomo... va bene così? e ora dormi, è molto tardi". Ella si chinò e lo baciò. Spento il lume, Agostino la sentì coricarsi nel letto.
Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addormentarsi. Ma non era un uomo: e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse.


Bello, pensavo rimettendolo sul comodino. Molto tempo infelice. Ma su, Agostino, prima o poi lo sarai, un uomo.
Anche a me manca molto tempo infelice. Però solo per essere libero.

5 commenti:

sergio garufi ha detto...

che meraviglia leggere queste cose tue luigi, si resta a bocca aperta.

ciao da fuerteventura

marilena ha detto...

è molto molto bello.

se posso cercare il pelo nell'uovo, ha un finale un po' affrettato, e un paio di vocaboli qui e lì che suonano un po' troppo desueti. A parte questo, bello bello

Luca Tassinari ha detto...

"Mi sono messo a leggere Agostino. Non l'ho mica fatto apposta".

Che meraviglia questo dialogo a distanza fra la storia di formazione narrata nel libro e quella vissuta da questo Agostino in fase calante!

alonso ha detto...

Grazie a tutti, che bello avervi qui nel mio salottino!

Sebastian ha detto...

""Ci provo sempre, ogni giorno ogni minuto della mia vita, a essere cinico, a vedere il male anche dove sembra tutto perfetto, a guardare il giardino fiorito e scorger le foglie mòrse, le piante avvizzite, gli steli calpestati. Di solito lo so fare. Ma a volte è difficile. Proprio difficile.""

Questa, personalmente, l'ho trovata la parte più toccante, più intensa.
Bravo! Ben scritto :)