Ho già scritto altrove, e ripeto qui, e lo farò ancora, che le dichiarazioni rilasciate oggi dal sig. Roberto Maroni, disgraziatamente ministro della Repubblica Italiana, contro Roberto Saviano, sono il più basso, vile, vergognoso, scandaloso gradino dell'ignominia che questo paese da troppo tempo sta vivendo.
In particolare trovo indegna l'affermazione, come leggo su Repubblica on line, secondo la quale Maroni non riterrebbe «una buona idea quella di andarsene. Non mi pare ci sia certezza di evitare la vendetta camorristica che non ha confini». Se voi non ci vedete una allusione intimidatoria, io invece ce lo vedo, eccome. Lo Stato che lo dovrebbe difendere, dice a Roberto di non perdere tempo ad espatriare, perché tanto i clan lo possono colpire ovunque...
Maroni parlava a Napoli, davanti agli imprenditori campani, e quello non è un uditorio neutro né neutrale.
Ogni giorno sento notizie da far gelare il sangue. Migliaia di tonnellate di rifiuti che scompaiono da un giorno all'altro, e nessuno che si chiede - a parte se sia vero o meno, e non è vero - dove siano finiti, se per caso ne è stata controllata la pericolosità. Mezza Italia è piena di veleni sotto il tappeto (il capitolo La terra dei fuochi in Gomorra, per restare a Saviano, è allucinante) ma tutti esultano perché per via non ce n'è più. Che li respiriamo, li beviamo, che ci si appiccichino sulla pelle, che ci intacchino con gli ortaggi o la carne che mangiamo, di questo non frega niente a nessuno. Morivano come mosche negli anni Sessanta intorno agli stabilimenti del petrolchimico di Mestre, muoiono sempre all'Ilva di Taranto, muoiono in Campania con incidenze tumorali ben più alte che altrove, ma tanto... I padroni stanno nei loro salotti o respirano aria buona a Cortina, i poveracci prima di tutto vogliono un lavoro, e allora va bene così, continuiamo così, giù la testa e via, a sperare che il male non arrivi troppo presto.
Sento di bambini rom a cui prendere le impronte, sento la proposta di fare classi solo per i bambini stranieri, sento di città che costruiscono muri, e tutta una gran voglia di ronde notturne e di picchiare qualcuno, purchessia. «La coazione al pragma purché pragma», diceva Gadda deridendo l'idiozia mussoliniana, anche se non c'era niente da ridere. Sento rivalutare i soldati di Salò che fucilavano la loro stessa gente insieme ai nazisti e, maledizione, il padre di mia madre lo è stato, un soldato di Salò, è stato anche amico di quel macellaio che fu il generale Graziani: abbiamo addirittura una foto di Graziani con una dedica a mio nonno, a casa! Angelo del Boca inizia Italiani brava gente? ricordando le spaventose rappresaglie che seguirono al fallito attentato contro Graziani, nel '37 ad Addis Abeba. Poche pagine da brividi, che si dovrebbero leggere nelle scuole, ma purtroppo tra un po' manco ci saranno più, le scuole.
Tutti mi dicono, mi hanno sempre detto, che mio nonno era una persona straordinaria, un uomo buono e di grande cultura, e a me sembra assurdo che l'una cosa possa cancellare l'altra: lo so bene, era un militare ma un appassionato lettore, ho i suoi Nietzsche meditati e annotati con perplessità e perfino il suo Darwin, ho il suo Milton e i suoi Shakespeare, e i suoi Tragici greci, ho conservato il suo Cervantes e i suoi Cechov, il suo tutto Platone, e tanti, troppi Papini, ma in un toscano classe 1896 ci sta.. Soprattutto era uno studioso di Dante, in prigionia faceva delle lezioni sull'Inferno sul Purgatorio e sul Paradiso ai suoi compagni, e di certo là ne sapevano qualcosa, in particolare di inferni e purgatori, tutti i suoi soldati gli erano affezionati, ma questo può bastarmi? Io non so niente di lui durante la guerra, non so cosa abbia fatto, però so che i partigiani erano suoi nemici, e so che i partigiani venivano passati per le armi. E so, lo so, che lui era un soldato, lo era da una vita, aveva fatto anche la Prima Guerra Mondiale, aveva fatto Caporetto, a quei tempi i militari vivevano sempre in divisa, anche a casa. La prima volta che mio nonno si tolse la divisa fu al termine dell'ultimo giorno in cui la indossò, dopo quella che lui e gli altri come lui consideravano la «disfatta», non certo la Liberazione. La baciò, quella divisa, mi raccontano, e la mise nell'armadio. Come un abito talare.
Un soldato buono, e colto, non è per questo meno un soldato. Spero tanto che sulle mani di mio nonno non ci sia stato sangue di partigiani, ma non mi sento di escluderlo. E allora del suo Dante - che è anche il mio Dante, perchè proprio sulla sua edizione incredibilmente annotata della Commedia quasi ho imparato a leggere, sfogliandola e risfogliandola fin da bambino, ammirato del formato imponente e delle pagine ingiallite, dell'inchiostro vecchio, della sua grafia antica, delle citazioni magniloquenti da Filomusi Guelfi, delle tavole tetre, carnali e sanguigne del Doré - non mi importa più. Preferisco Fenoglio, allora. Preferisco qualcuno che si immagina come quell'ultimo partigiano che veglia e fuma nascosto sul crinale di un monte gelato, sapendo che lui lassù ha un senso fino a quando vi saranno fascisti.
Sento ogni giorno di operai che muoiono come al fronte, e qualche sera fa, in albergo a Vergato, dove insegno alle serali, mi è successo di far delle chiacchiere con un paio ragazzi che mi hanno offerto una birra. Uno di loro era sudamericano, l'altro del bellunese. Veniva da Erto, uno dei due paesi arroccati in alto sul Vajont, un luogo che tutta Italia dovrebbe visitare: è la nostra Caporetto senza Vittorio Veneto, è l'epitome della nostra storia, e ci son voluti trentaquattro anni e il cuore e il genio di Marco Paolini perché qualcuno ce la raccontasse davvero. Arroganza, miopia, dané, corruzione, devastazione, sfruttamento cieco, un popolo che si rimbocca le maniche e lavora bene, tira su in pochi anni la diga a doppio arco più alta del mondo, poi una catastrofe, migliaia di morti innocenti, alla fine tutto nel dimenticatoio. Oggi la gente, mi diceva quel ragazzo, va a vedere Erto da quando c'è stato il film, quel brutto sciapo film di Martinelli, soprattutto sapendo che ci vive Mauro Corona. Le cose là vanno meglio, si aprono ristoranti e rifanno le case. Ma lui, intanto, era lì, lontano da casa a lavorare per Trenitalia, e comunque lo sviluppo non è sempre detto che sia cosa buona: ho detto bisognerebbe visitare il Vajont, ma come si visitano le Fosse Ardeatine o Auschwitz. In tutta franchezza, mi rivolta lo stomaco l'idea che dove è successa la più spaventosa tragedia civile del dopoguerra italiano, la gente ci vada a far del turismo perché un uomo di lì, singolare e certo anche talentuoso, è stato ospite in tv alle Invasioni barbariche o a Domenica In.
Avevano appena finito di lavorare in un cantiere ferroviario lì nell'Appennino, quei due ragazzi, e la mattina dopo sarebbero ripartiti per un altro, verso Pistoia. Pensavo con angoscia a questa gente sradicata, che non sai mai da dove viene, come erano i soldati nelle trincee del Carso, questi operai che di giorno son sempre via tra i monti, e al massimo li vedi la sera in un bar, da una parte come fossero lebbrosi, o nell'entrata di un alberguccio di paese, a bere, stravolti dalla fatica, perché un po' di birre tirano via tutta quella polvere e ammorbidiscono le braccia e le gambe. Li pensavo tutto il giorno a lavorar tra macchine assassine senza protezioni, tra oggetti sospesi, morse, elettricità, pietre, acqua, esalazioni, ogni cosa potenzialmente è letale. Oggi a Ragusa un ragazzo è morto cadendo in un silos per il cioccolato. Io ci sono stato, laggiù. A Modica, nel Ragusano, il cioccolato è una tradizione, un prodotto di altissimo pregio. Questa morte è particolarmente atroce... Una cosa così buona, che piace a tutti, che la gente quand'è golosa o solo per iperbole a volte sogna di farci il bagno, e tu ci crepi. Non è solo atroce, è peggio, perché sembra una barzelletta. Dietro ai nostri viaggi in auto o in treno, dietro ai nostri appartamenti nuovi , dietro perfino ai nostri sfizi gastronomici, c'è sempre qualcuno che muore.
Sento giornalisti senza dignità parlare di "salvataggio" per l'operazione criminale e dissennata di Alitalia, sento dipendenti dello stato come me, che lavorano in condizioni spesso disperate, venire ulteriormente vessati, umiliati, derisi, mandati a spasso. Un ministro senza esperienza e senza vergogna che ammette di aver fatto l'esame di stato a Reggio Calabria, dove notoriamente passavano tutti, perché "aveva fretta", e poi come un burattino nelle mani del padrone demolisce la scuola mantenendo l'occhio vacuo.
La parte embrionale di questo post l'ho pubblicata su facebook. Scrivere tutto ciò su un social network dove la gente fa incontri, si corteggia, fa rimpatriate, scherza, gioca, non ha alcun senso, ma ci dice qualcosa della nostra miseria: io non ho un altro posto dove scriverlo, e non potevo starmene a tacere un'altra volta.
In particolare trovo indegna l'affermazione, come leggo su Repubblica on line, secondo la quale Maroni non riterrebbe «una buona idea quella di andarsene. Non mi pare ci sia certezza di evitare la vendetta camorristica che non ha confini». Se voi non ci vedete una allusione intimidatoria, io invece ce lo vedo, eccome. Lo Stato che lo dovrebbe difendere, dice a Roberto di non perdere tempo ad espatriare, perché tanto i clan lo possono colpire ovunque...
Maroni parlava a Napoli, davanti agli imprenditori campani, e quello non è un uditorio neutro né neutrale.
Ogni giorno sento notizie da far gelare il sangue. Migliaia di tonnellate di rifiuti che scompaiono da un giorno all'altro, e nessuno che si chiede - a parte se sia vero o meno, e non è vero - dove siano finiti, se per caso ne è stata controllata la pericolosità. Mezza Italia è piena di veleni sotto il tappeto (il capitolo La terra dei fuochi in Gomorra, per restare a Saviano, è allucinante) ma tutti esultano perché per via non ce n'è più. Che li respiriamo, li beviamo, che ci si appiccichino sulla pelle, che ci intacchino con gli ortaggi o la carne che mangiamo, di questo non frega niente a nessuno. Morivano come mosche negli anni Sessanta intorno agli stabilimenti del petrolchimico di Mestre, muoiono sempre all'Ilva di Taranto, muoiono in Campania con incidenze tumorali ben più alte che altrove, ma tanto... I padroni stanno nei loro salotti o respirano aria buona a Cortina, i poveracci prima di tutto vogliono un lavoro, e allora va bene così, continuiamo così, giù la testa e via, a sperare che il male non arrivi troppo presto.
Sento di bambini rom a cui prendere le impronte, sento la proposta di fare classi solo per i bambini stranieri, sento di città che costruiscono muri, e tutta una gran voglia di ronde notturne e di picchiare qualcuno, purchessia. «La coazione al pragma purché pragma», diceva Gadda deridendo l'idiozia mussoliniana, anche se non c'era niente da ridere. Sento rivalutare i soldati di Salò che fucilavano la loro stessa gente insieme ai nazisti e, maledizione, il padre di mia madre lo è stato, un soldato di Salò, è stato anche amico di quel macellaio che fu il generale Graziani: abbiamo addirittura una foto di Graziani con una dedica a mio nonno, a casa! Angelo del Boca inizia Italiani brava gente? ricordando le spaventose rappresaglie che seguirono al fallito attentato contro Graziani, nel '37 ad Addis Abeba. Poche pagine da brividi, che si dovrebbero leggere nelle scuole, ma purtroppo tra un po' manco ci saranno più, le scuole.
Tutti mi dicono, mi hanno sempre detto, che mio nonno era una persona straordinaria, un uomo buono e di grande cultura, e a me sembra assurdo che l'una cosa possa cancellare l'altra: lo so bene, era un militare ma un appassionato lettore, ho i suoi Nietzsche meditati e annotati con perplessità e perfino il suo Darwin, ho il suo Milton e i suoi Shakespeare, e i suoi Tragici greci, ho conservato il suo Cervantes e i suoi Cechov, il suo tutto Platone, e tanti, troppi Papini, ma in un toscano classe 1896 ci sta.. Soprattutto era uno studioso di Dante, in prigionia faceva delle lezioni sull'Inferno sul Purgatorio e sul Paradiso ai suoi compagni, e di certo là ne sapevano qualcosa, in particolare di inferni e purgatori, tutti i suoi soldati gli erano affezionati, ma questo può bastarmi? Io non so niente di lui durante la guerra, non so cosa abbia fatto, però so che i partigiani erano suoi nemici, e so che i partigiani venivano passati per le armi. E so, lo so, che lui era un soldato, lo era da una vita, aveva fatto anche la Prima Guerra Mondiale, aveva fatto Caporetto, a quei tempi i militari vivevano sempre in divisa, anche a casa. La prima volta che mio nonno si tolse la divisa fu al termine dell'ultimo giorno in cui la indossò, dopo quella che lui e gli altri come lui consideravano la «disfatta», non certo la Liberazione. La baciò, quella divisa, mi raccontano, e la mise nell'armadio. Come un abito talare.
Un soldato buono, e colto, non è per questo meno un soldato. Spero tanto che sulle mani di mio nonno non ci sia stato sangue di partigiani, ma non mi sento di escluderlo. E allora del suo Dante - che è anche il mio Dante, perchè proprio sulla sua edizione incredibilmente annotata della Commedia quasi ho imparato a leggere, sfogliandola e risfogliandola fin da bambino, ammirato del formato imponente e delle pagine ingiallite, dell'inchiostro vecchio, della sua grafia antica, delle citazioni magniloquenti da Filomusi Guelfi, delle tavole tetre, carnali e sanguigne del Doré - non mi importa più. Preferisco Fenoglio, allora. Preferisco qualcuno che si immagina come quell'ultimo partigiano che veglia e fuma nascosto sul crinale di un monte gelato, sapendo che lui lassù ha un senso fino a quando vi saranno fascisti.
Sento ogni giorno di operai che muoiono come al fronte, e qualche sera fa, in albergo a Vergato, dove insegno alle serali, mi è successo di far delle chiacchiere con un paio ragazzi che mi hanno offerto una birra. Uno di loro era sudamericano, l'altro del bellunese. Veniva da Erto, uno dei due paesi arroccati in alto sul Vajont, un luogo che tutta Italia dovrebbe visitare: è la nostra Caporetto senza Vittorio Veneto, è l'epitome della nostra storia, e ci son voluti trentaquattro anni e il cuore e il genio di Marco Paolini perché qualcuno ce la raccontasse davvero. Arroganza, miopia, dané, corruzione, devastazione, sfruttamento cieco, un popolo che si rimbocca le maniche e lavora bene, tira su in pochi anni la diga a doppio arco più alta del mondo, poi una catastrofe, migliaia di morti innocenti, alla fine tutto nel dimenticatoio. Oggi la gente, mi diceva quel ragazzo, va a vedere Erto da quando c'è stato il film, quel brutto sciapo film di Martinelli, soprattutto sapendo che ci vive Mauro Corona. Le cose là vanno meglio, si aprono ristoranti e rifanno le case. Ma lui, intanto, era lì, lontano da casa a lavorare per Trenitalia, e comunque lo sviluppo non è sempre detto che sia cosa buona: ho detto bisognerebbe visitare il Vajont, ma come si visitano le Fosse Ardeatine o Auschwitz. In tutta franchezza, mi rivolta lo stomaco l'idea che dove è successa la più spaventosa tragedia civile del dopoguerra italiano, la gente ci vada a far del turismo perché un uomo di lì, singolare e certo anche talentuoso, è stato ospite in tv alle Invasioni barbariche o a Domenica In.
Avevano appena finito di lavorare in un cantiere ferroviario lì nell'Appennino, quei due ragazzi, e la mattina dopo sarebbero ripartiti per un altro, verso Pistoia. Pensavo con angoscia a questa gente sradicata, che non sai mai da dove viene, come erano i soldati nelle trincee del Carso, questi operai che di giorno son sempre via tra i monti, e al massimo li vedi la sera in un bar, da una parte come fossero lebbrosi, o nell'entrata di un alberguccio di paese, a bere, stravolti dalla fatica, perché un po' di birre tirano via tutta quella polvere e ammorbidiscono le braccia e le gambe. Li pensavo tutto il giorno a lavorar tra macchine assassine senza protezioni, tra oggetti sospesi, morse, elettricità, pietre, acqua, esalazioni, ogni cosa potenzialmente è letale. Oggi a Ragusa un ragazzo è morto cadendo in un silos per il cioccolato. Io ci sono stato, laggiù. A Modica, nel Ragusano, il cioccolato è una tradizione, un prodotto di altissimo pregio. Questa morte è particolarmente atroce... Una cosa così buona, che piace a tutti, che la gente quand'è golosa o solo per iperbole a volte sogna di farci il bagno, e tu ci crepi. Non è solo atroce, è peggio, perché sembra una barzelletta. Dietro ai nostri viaggi in auto o in treno, dietro ai nostri appartamenti nuovi , dietro perfino ai nostri sfizi gastronomici, c'è sempre qualcuno che muore.
Sento giornalisti senza dignità parlare di "salvataggio" per l'operazione criminale e dissennata di Alitalia, sento dipendenti dello stato come me, che lavorano in condizioni spesso disperate, venire ulteriormente vessati, umiliati, derisi, mandati a spasso. Un ministro senza esperienza e senza vergogna che ammette di aver fatto l'esame di stato a Reggio Calabria, dove notoriamente passavano tutti, perché "aveva fretta", e poi come un burattino nelle mani del padrone demolisce la scuola mantenendo l'occhio vacuo.
La parte embrionale di questo post l'ho pubblicata su facebook. Scrivere tutto ciò su un social network dove la gente fa incontri, si corteggia, fa rimpatriate, scherza, gioca, non ha alcun senso, ma ci dice qualcosa della nostra miseria: io non ho un altro posto dove scriverlo, e non potevo starmene a tacere un'altra volta.
1 commento:
sottoscrivo ogni singola parola, ed è un peccato che una penna così non abbia altro spazio dove scrivere queste cose. ad ogni modo la nostra miseria si vede e si misura non solo nelle vergogne, ma pure nelle esaltazioni, altrettanto ridicole e provinciali. qualcuno ha scritto che ogni paese ha le rivoluzioni che si merita: negli stati uniti è stato eletto un presidente nero, da noi negli stessi giorni la sinistra esultava per la vittoria di un trans a un reality.
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